In questi ultimi tempi invochiamo frequentemente un possibile cambiamento come il rimedio a tutti i mali che ci affliggono.
Sia che ci riducano la pensione o ci troviamo senza lavoro o sussidio di disoccupazione; con difficoltà a trovare una casa decente o dibattiamo i mille problemi per costruirci una famiglia, pensiamo che solo un cambiamento ci possa aiutare ad uscire dalle difficoltà.
Così, a volte cerchiamo il cambiamento, come un prodotto del supermarket, per superare problemi difficili, vecchie abitudini o vecchi equilibri. Altre volte invece il cambiamento si è rivelato solo un bel fastidio: ci costringe a fare i conti con cose che non conosciamo ed a mettere in discussione noi stessi, superare piccole paure e impattare con incertezza le novità.
Per quanto abbiamo potuto pensare di essere disponibili verso il cambiamento, in realtà, è sempre una bella seccatura adattarsi a nuove situazioni, nuove cose o nuove abitudini e spesso dover avere a che fare con nuove persone e nuove mentalità.
Se poi facciamo riferimento a come sono andate le cose nel nostro Paese negli ultimi anni, abbiamo tanto invocato un cambiamento fino a trovarcelo, in men che non si dica, fuori la porta di casa, quando abbiamo dovuto accettare che avevamo bisogno della scossa della trasformazione per affrontare con decisione le difficoltà della crisi economica.
Così il cambiamento si è pure andato accompagnando, ultimamente, al trauma delle decisioni necessarie per affrontare la situazione, insieme ad un radicale cambio del Governo nazionale (nuove persone ed altri modi di fare).
Oggi che i problemi sembrano essere sempre (o ancora) più difficili, e purtroppo aggravati, e le difficoltà sono diventate più pesanti da digerire, per effetto del cambiamento, tanti cittadini, in Italia, come in molti paesi d’Europa, stanno cercando nuovi cambiamenti con nuovi equilibri o nuovi leaders, come soggetti (od oggetti) di speranza per nuovi progetti di vita.
Diciamo la verità, anche il cambiamento richiede un addestramento che, abbiamo scoperto, non pensiamo sempre di avere, ancorati come siamo alle nostre buone, cattive o antiche abitudini.
Ho sempre pensato che il cambiamento non potesse derivare da una rivoluzione, ma essere il frutto di una trasformazione della nostra mentalità, questa sì, radicale che ci potesse aiutare a definire una nuova cultura e una nuova identità, per un modo più civile di vivere insieme.
Dovremmo perciò imparare ad essere capaci di operare veramente un mutamento dei nostri comportamenti, rispetto alle cose che sono attorno a noi e che spesso ci affliggono.
Ma siamo pronti a questo discernimento? E capaci di distinguere rettamente le cose e valutare con giudizio come e dove operare le trasformazioni?
Sono interrogativi aperti che forse già nelle prossime settimane, se non nei prossimi giorni, saremo indotti a risolvere a partire da noi stessi. Sarà proprio un bel cambiamento.
GERARDO GIORDANO per CAOS-informa n.52
ecco il link di CAOS-informa n.52 se vuoi leggere tutta la rivista: http://www.caosinforma.it/numero.php?id=49
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