SVIMEZ - Presentazione del Rapporto 2013. SUD A RISCHIO POVERTA' E DESERTIFICAZIONE INDUSTRIALE - Comunicato Stampa

SVIMEZ 
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Comunicato Stampa
Roma, 17 ottobre 2013
SVIMEZ, SUD A RISCHIO POVERTA’ E DESERTIFICAZIONE INDUSTRIALE

Quasi il 20% delle famiglie siciliane guadagna meno di mille euro al mese
Nel 2014 Pil a +0,1% al Sud, +0,9% al Centro-Nord
Città, fonti rinnovabili, infrastrutture e logistica i principali drivers dello sviluppo
La fotografia dell’economia del Mezzogiorno nel Rapporto SVIMEZ 2013
Un Mezzogiorno a rischio desertificazione industriale, dove i consumi non crescono
da cinque anni, si continua a emigrare al Centro-Nord, la disoccupazione reale supera
il 28%, crescono le tasse e si tagliano le spese, ma una famiglia su 7 guadagna
meno di mille euro al mese, e in un caso su quattro il rischio povertà resta anche
con due stipendi in casa. Secondo la SVIMEZ occorre rilanciare una visione strategica
di medio-lungo periodo, che veda nella riqualificazione urbana, energie rinnovabili,
sviluppo delle aree interne, infrastrutture e logistica i principali drivers
dello sviluppo.
Questa la fotografia che emerge dal Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno
2012 in presentazione a Roma giovedì 17 ottobre.
Pil e Mezzogiorno - In base a valutazioni SVIMEZ nel 2012 il Pil è calato nel Mezzogiorno
del 3,2%, oltre un punto percentuale in più del Centro-Nord, pure negativo
(-2,1%). Per il quinto anno consecutivo, dal 2007, il tasso di crescita del PIL meridionale
risulta negativo. Dal 2007 al 2012, il Pil del Mezzogiorno è crollato del 10%, quasi
il doppio del Centro-Nord (-5,8%). A livello regionale, l’area che nel 2012 ha segnato
la flessione più contenuta del Paese è stata il Centro (-1,9%), seguita da Nord-Ovest (-
2,1%) e da Nord-Est (-2,4%). Più in particolare, pur essendo le regioni italiane tutte
negative, la forbice oscilla tra il risultato della Sicilia (-4,3%) e quello di Lazio e
Lombardia (-1,7%). Nel Mezzogiorno si registrano cadute più contenute in Campania
e Molise (-2,1%), seguono Puglia e Calabria (rispettivamente -3 e -2,9%), Abruzzo (-
3,6%) e Sardegna (-3,5%). In coda la Basilicata (-4,2%) e la Sicilia (-4,3%).
Pil per abitante e divari storici – In termini di Pil pro capite, il gap del Mezzogiorno
nel 2012 ha ripreso a crescere, con un livello arrivato al 57,4% del valore pro capite del
Centro-Nord. In valori assoluti, il Pil a livello nazionale risulterebbe pari a 25.713 euro,
quale media tra i 30.073 euro del Centro-Nord e i 17.263 del Mezzogiorno. Nel
2012 la regione più ricca è stata la Valle d’Aosta, con 34.415 euro, seguita da Lombardia
(33.443), Trentino Alto Adige (33.058), Emilia Romagna (31.210 euro) e Lazio
(29.171 euro). Nel Mezzogiorno la regione con il Pil pro capite più elevato è stata
l’Abruzzo (21.244 euro). Seguono il Molise (19.845), la Sardegna (19.344), la Basilicata
(17.647 euro), la Puglia (17.246), la Sicilia (16.546) e la Campania (16.462). La
regione più povera è la Calabria, con 16.460 euro. Il divario tra la regione più ricca e
la più povera è stato nel 2012 di quasi 18mila euro: in altri termini, ad un valdostano si
può attribuire un prodotto nel 2012 di quasi 18mila euro superiore a quello di un calabrese.
Giù consumi e investimenti - In netta flessione sia consumi che investimenti; e le esportazioni,
pur in crescita, non riescono ad incidere sull'andamento negativo del Pil
meridionale. I consumi finali interni nel 2012 sono crollati al Sud del -4,3%, oltre
mezzo punto percentuale in più rispetto al Centro-Nord (-3,8%). In forte calo anche i
consumi delle famiglie, -4,8% al Sud, contro il -3,5% dell'altra ripartizione. Nel complesso,
negli anni della crisi, dal 2008 al 2012, i consumi della famiglie meridionali
sono sprofondati del 9,3%, oltre due volte in più del Centro-Nord (-3,5%). Particolarmente
in contrazione al Sud la spesa delle famiglie per i consumi alimentari (-11,3%)
e per vestiario e calzature (-19%). Giù anche gli investimenti: - 8,6% al Sud, rispetto
al pur negativo -7,8% dell'altra ripartizione, che segue al -3,9% dell'anno precedente.
Negli anni della crisi, dal 2008 al 2012, gli investimenti sono crollati al Sud del
25,8%, con un peso determinante dell'industria (-47% dal 2007 al 2012), cifra che
rende bene la dimensione epocale della crisi.
Le previsioni: continua la recessione - Secondo stime SVIMEZ aggiornate a settembre
2013, nel 2013 il Pil italiano dovrebbe calare dell'1,8%, quale risultato del -
1,6% del Centro-Nord e del -2,5% del Sud. A causare la contrazione dell’attività produttiva
il forte calo dei consumi (stimato in -2,9% al Centro-Nord, che diventa –
4,4% al Sud) e il crollo degli investimenti, -11,5%, a fronte di un calo nazionale del -
6,7%. Giù anche il reddito disponibile, -2% al Sud, -1,3% al Centro-Nord, una contrazione
preoccupante, poiché si verifica da due anni consecutivi.
Da segnalare, a testimonianza della gravità della crisi, l'ulteriore perdita di posti di lavoro,
-2% al Sud, -1,2% al Centro-Nord, che porterebbero, se confermate, in cinque anni,
dal 2008 al 2013, a 560mila posti di lavoro persi nel Sud (pari al 9% dello stock) e
nel Centro-Nord a 960mila posti persi, pari al 5,5% dell'occupazione totale.
In un panorama fortemente negativo, "tengono" le esportazioni: nel 2013, a fronte della
stazionarietà del Centro-Nord (0%), il Sud segnerebbe -0,1%.
Nel 2014 secondo stime SVIMEZ il Pil nazionale è previsto a +0,7%, invertendo la
tendenza recessiva dell’anno precedente. In questo contesto il Pil del Centro-Nord dovrebbe
trainare l'inversione di tendenza con +0,9%, mentre quello del Mezzogiorno resterebbe
inchiodato allo 0,1%.
IL DESERTO INDUSTRIALE DEL SUD
Il sistema produttivo troppo frammentato e sbilanciato verso produzioni di beni tradizionali
a basso valore aggiunto e poco propense all’innovazione, ha pagato lo scotto soprattutto
in termini di esportazioni, livelli di produttività, redditività. Nel 2007, il livello
di valore aggiunto dell’industria meridionale era fermo ai valori del 2001, mentre
dal 2001 al 2007 nelle aree arretrate della Germania e della Spagna è cresciuto rispettivamente
del 40% e del 10%.
Dal 2007 al 2012 secondo valutazione SVIMEZ il manifatturiero al Sud ha ridotto
il proprio prodotto del 25%, i posti di lavoro del 24% e gli investimenti addirittura
del 45%. Il valore aggiunto del manifatturiero sul totale al Sud è sceso dall'11,2%
del 2007 al 9,2% del 2012, un dato ben lontano dal 18% del Centro-Nord e dal target
europeo del 20%.
AL SUD PIU’ TASSE E MENO SPESE
Negli ultimi quattro anni, dal 2007 al 2011, la riduzione delle entrate correnti complessive
è stata dell’1,67% medio annuo, minore nel Mezzogiorno (-1,55%) rispetto
al Centro-Nord (-1,8%): per effetto soprattutto dei piani di rientro sanitario, si è verificato
un aumento della pressione fiscale nell’area meridionale, dovuto a IRAP e addizionale
IRPEF. In base alle rilevazioni SIOPE del 2012, nelle regioni a statuto ordinario
del Mezzogiorno la pressione fiscale derivante dai tributi regionali sarebbe aumentata
dal 3,9% del 2011 al 4,6% del 2012, a fronte di un incremento più contenuto nell'altra
ripartizione (3,4%).
Alla più elevata pressione fiscale si accompagna una spesa pro capite più bassa, sia corrente
che in conto capitale. Escludendo la spesa degli enti previdenziali, la spesa pro
capite al Sud nel 2011 è risultata pari al 92% del livello pro capite del Centro-
Nord: non hanno quindi consistenza le affermazioni secondo cui il volume di spesa
pubblica del Mezzogiorno sarebbe elevato. Anzi: guardando alle regioni a statuto ordinario,
emerge che le spese correnti sono diminuite al Sud del 2,1% medio annuo
dal 2007, mentre nel Centro-Nord dell'1,2%.
GLI OCCUPATI AL SUD MENO DI SEI MILIONI, COME NEL 1977
Nel 2012 gli occupati in Italia sono stati 22 milioni 899mila unità, 69mila in meno rispetto
al 2011, con una flessione dello 0,3% (-0,6% nel Mezzogiorno, -0,2% nel Centro-
Nord). Circa 2 milioni 750mila in Italia le persone nel 2012 in cerca di occupazione (di
cui 1 milione 280mila nel Mezzogiorno e 1 milione 460mila al Centro-Nord). Mentre
crescono gli stranieri occupati: + 83mila rispetto al 2011, concentrati soprattutto al
Nord, dove sfiorano il 12% del totale.
Il mercato del lavoro italiano continua a deteriorarsi: ancora nel primo trimestre 2013
il Sud ha perso 166mila posti di lavoro rispetto all’anno precedente, 244mila il
Centro-Nord. Gli occupati nel Mezzogiorno scendono quindi nei primi mesi del
2013 sotto la soglia dei 6 milioni: non accadeva da 36 anni, dal 1977.
Nel 2012 il tasso di occupazione in età 15-64 è stato del 43,8% nel Mezzogiorno e
del 63,8% nel Centro-Nord. A livello regionale il tasso più alto si registra in Abruzzo
(56,8%), il più basso in Campania, dove lavora solo il 40% della popolazione in età da
lavoro. In valori assoluti, la Sicilia perde 38mila occupati, 11mila la Calabria, 6mila la
Sardegna, 3mila la Basilicata.
Nel Sud l’occupazione in agricoltura cala nel 2012 dell’1% e del 3,2%
nell’industria, mentre tiene nei servizi (+0,3%). A livello regionale, cala
l’occupazione agricola in Abruzzo (-23,8%), Molise (-7%), Basilicata (-6,4%), Calabria
(-5,6%), mentre cresce in Campania (+4,1%) e Sardegna (+5%). Segno negativo per
l’industria in tutte le regioni del Sud, a eccezione dell’Abruzzo (+3,9%), con le punte
della Sardegna (-11%), della Sicilia (-6,9%) e del Molise (-5,6%). Positivo invece il settore
dei servizi, soprattutto in Molise (+3,2%), Campania (+2,5%), Sardegna (+1,1%).
In valori assoluti, nel 2012, rispetto al 2011, il Sud ha perso oltre 4mila posti di lavoro
in agricoltura, 42.800 nell’industria e ha registrato un incremento di 11.600 unità
nei servizi.
IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE REALE AL SUD SUPERA IL 28%
Nel 2012 il tasso di disoccupazione registrato ufficialmente è stato del 17 % al Sud
e dell’8% al Centro-Nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del
nostro mercato del lavoro. I livelli raggiunti ci riportano indietro di oltre venti anni,
agli inizi degli anni 90. In aumento anche la durata della disoccupazione: nel 2012 al
Sud il 60% dei disoccupati si trova in questa situazione da più di un anno.
Nel Centro-Nord la perdita di posti di lavoro tende a trasformarsi quasi interamente in
ricerca di nuovi posti di lavoro; nel Mezzogiorno solo in minima parte diventa effettivamente
ricerca di nuova occupazione.
Il tasso di disoccupazione ufficiale rileva però una realtà in parte alterata. La zona grigia
del mercato del lavoro continua ad ampliarsi per effetto in particolare dei disoccupati
impliciti, di coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti
l’indagine. Considerando questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo nel
Centro-Nord sfiorerebbe la soglia del 12% (ufficiale: 8%) e al Sud passerebbe dal
17% al 28,4% (era stimato al 22,4% nel 2008).
MENO DI 1.000 EURO AL MESE NEL 20% DELLE FAMIGLIE SICILIANE
La diversa distribuzione dei redditi fra Nord e Sud fa emergere come è nel Mezzogiorno
che si concentrano le sacche di povertà più grandi. Nel 2012 il 14% delle famiglie meridionali
guadagna meno di mille euro al mese, quasi tre volte più del Centro-Nord
(5%), in particolare il 12,8% delle famiglie calabresi, il 15% delle campane, il 16,7%
delle lucane e il 19,7% delle siciliane. Adottando invece la divisione in quintili, dividendo
cioè 100 famiglie in cinque classi da 20 l’una dalle più ricche alle più povere,
emerge che il 62% delle famiglie meridionali, cioè due su tre, appartengono alle
classi più povere. In Sicilia, Calabria, Campania e Basilicata il 40% delle famiglie è
poverissimo.
Ad aggravare la povertà delle famiglie concorrono sia la disoccupazione che il numero
dei familiari a carico. Quasi il 50% delle famiglie meridionali è infatti monoreddito,
con punte del 58% in Sicilia, e il 15% (con punte del 18,5% in Basilicata) ha un disoccupato
in casa, il doppio del Centro-Nord (8%). Il 12% delle famiglie meridionali
ha inoltre tre o più familiari a carico, il triplo del Centro-Nord (4%), che arrivano in
Campania al 16,5%.
Ma al Sud i problemi non si limitano alle famiglie monoreddito; anche se lavorano due
persone in famiglia, nel Mezzogiorno il rischio povertà interessa ben il 23% delle
famiglie, quattro volte di più del Centro-Nord (6,5%). In valori assoluti, nel 2012
790mila famiglie meridionali sono a rischio di povertà assoluta. Gli anni della crisi,
 dal 2007 al 2012, hanno portato una crescita della povertà assoluta di quattro punti percentuali
(dal 5,8 al 9,8% della popolazione).
GLI INATTIVI CRESCONO DI PIU’ AL CENTRO-NORD
Per le nuove generazioni del Mezzogiorno continuano a essere sbarrate le porte
d’accesso al lavoro, la durata della disoccupazione si è allungata, così come la transizione
scuola-lavoro. Il tasso di disoccupazione degli under 35 è salito nel Mezzogiorno
al 28,5%, dieci punti in più rispetto al 2008.
Dei 3 milioni 337mila Neet registrati nel 2012, 2 milioni sono donne e 1 milione e
850mila si trovano al Sud. Anche se nel 2012 il 55% dei Neet italiani è al Sud, dal
2007 al 2012 nel Centro-Nord i Neet sono cresciuti del 38,5%, cinque volte più del
Sud (7%). Inoltre fra gli inattivi al Sud i diplomati sono il 33,7% e i laureati il
27,3%.
Peggiora poi il processo di transizione scuola-lavoro: i giovani residenti al Centro-
Nord lasciano la scuola un anno dopo i loro coetanei meridionali, ma entrano nel
mercato del lavoro sei anni prima di loro. In relazione ai tipi di contratto, la flessibilità
sembra funzionare più per trovare posti di lavoro precari e poco formativi piuttosto
che favorire il recupero del gap esperienziale.
BENESSERE: AL SUD SI STA PEGGIO, MA NON PER TUTTO
Il Rapporto SVIMEZ 2013 presenta la prima formulazione di un indicatore di sintesi del
benessere frutto di 134 indicatori raggruppati in 12 domini, dalla salute alla sicurezza,
dal paesaggio alla qualità dei servizi. L’analisi ha evidenziato come, rispetto alla media
nazionale, il Sud registri un gap socio-economico del 42,8%, superiore di oltre
dieci punti a quello misurato dal divario di Pil pro capite (-32%). Nel campo “salute”
ad esempio il divario è del 55%, nell’istruzione del 73% (ma Campania e Puglia
presentano livelli di istruzione superiori rispetto alla media), nella “politica” il Sud giudica
più negativamente le istituzioni locali ma ha un atteggiamento più positivo verso
l’idea di politica. In generale, comunque, Abruzzo, Sardegna e Molise registrano valori
dell’indicatore superiori alla media nazionale.
IN VENTI ANNI DAL SUD DUE MILIONI 700MILA EMIGRANTI
Negli ultimi venti anni sono emigrati dal Sud circa 2,7 milioni di persone. Nel 2011
si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord circa 114 mila abitanti. Riguardo
alla provenienza, in testa per partenze la Campania, con una partenza su tre (36.400);
23.900 provengono dalla Sicilia, 19.900 dalla Puglia, 14,200 dalla Calabria. In direzione
opposta, da Nord a Sud, circa 61mila persone, che rientrano nei luoghi d’origine,
soprattutto Campania (16mila), Sicilia (15mila) e Puglia (10mila).La regione più attrattiva
per il Mezzogiorno resta la Lombardia, che ha accolto nel 2011 in media quasi
un migrante su quattro, seguita dal Lazio.
Nel 2011 i cittadini italiani trasferiti per l’estero sono stati circa 50mila, 10mila in
più rispetto al 2010, in decisa crescita rispetto a dieci anni fa, quando erano 34mila.
Ma ad emigrare all’estero non sono i meridionali: solo il 30%, di cui circa uno su tre è
laureato. Gli italiani si sono diretti soprattutto in Germania, oltre uno su quattro
(26,6%), in Svizzera (12,8%) e Gran Bretagna (9,5%). In dieci anni, dal 2002 al 2011,
i meridionali laureati emigrati per l’estero sono stati oltre 20mila. Nel 2012 i pendolari
di lungo raggio da Sud a Nord sono stati 155mila, 15mila in più rispetto al
2011.
SUD LEADER INDISCUSSO NELLE ENERGIE RINNOVABILI
Il Sud presenta a livello nazionale un vantaggio competitivo in termini di potenza
prodotta dalle nuove rinnovabili (solare, eolico e biomasse) già oggi del 55% (Puglia
16,9%, Sicilia 11,5% e Campania 7,3%), con punte del 97% per l'eolico, e con
un enorme potenziale non sfruttato in campo geotermico. Lo sviluppo geotermico in
particolare, soprattutto al Sud, potrebbe offrire importanti opportunità nella produzione
di energia termica (per riscaldare e raffreddare). Per favorire uno sviluppo di questi impianti
però occorrerebbe passare da un approccio basato sulla incentivazione individuale
ad uno collettivo, rivolto a comunità più che a soggetti, e per fare ciò va promossa la
nascita di operatori che organizzino e realizzino progetti a tale scala. Per caratteristiche
tecniche, tale produzione si presta a essere più facilmente realizzabile nel breve periodo.
Quanto al fotovoltaico, il 29% degli impianti, circa 139mila, si trova nel Mezzogiorno,
a fronte di una produzione di potenza pari al 38% del totale nazionale, con la
Puglia leader fra le regioni meridionali (44% del totale Sud). Per caratteristiche orografiche,
inoltre, il Sud e' leader indiscusso nel settore eolico, con quasi 6mila impianti,
di cui il 60% concentrato in Puglia, Sicilia e Campania. Riguardo invece alle
bioenergie, l'87% degli impianti si concentra nel Centro-Nord, ma il Sud concorre alla
produzione nazionale per oltre il 35%.
LE POLITICHE E LE MISURE PER LA CRESCITA: COSA DICE LA SVIMEZ
Secondo la SVIMEZ per scongiurare il rischio concreto di consolidamento del calo dei
consumi e della perdita dei posti di lavoro occorre una forte azione di policy che proceda
con azioni di contrasto degli effetti congiunturali da un lato e di strategie di crescita
di medio e lungo periodo dall'altro.
Povertà – Esiste una chiara correlazione tra disuguaglianze dei redditi e crescita economica.
Paesi diseguali come l’Italia crescono meno. Pertanto l’insufficiente sostegno
ai carichi familiari, il disegno individualistico dell’imposta sui redditi, l’assenza di una
misura specifica di lotta alla povertà e di ammortizzatori sociali contro la disoccupazione
rivelano lo scarso orientamento redistributivo del sistema di tasse e benefici. Rispetto
al reddito di cittadinanza, che prevede una detrazione di importo uguale per tutti i cittadini,
una proposta di “minimo vitale” dovrebbe concentrarsi sulle famiglie povere o
a rischio.
Risorse - Pur nella difficoltà economica generale, occorre individuare una ripartizione
delle risorse nazionali distinte tra interventi ordinari e interventi per il recupero
del deficit esistente, che superi le vecchie percentuali fissate per il Mezzogiorno
(30% di spesa ordinaria e 45% di spesa complessiva). In questo senso sarebbe opportu 
no coinvolgere nelle strategie di intervento anche gli investimenti nel Mezzogiorno
delle imprese pubbliche nazionali.
Politiche di coesione - Riguardo invece alle politiche di coesione, non va dimenticato
che sono inserite in un quadro strategico nazionale, in cui andrebbero individuate poche
direttrici significative (riqualificazione urbana, energie rinnovabili, sviluppo
delle aree interne, infrastrutture e logistica) e specifici progetti fondati sulle potenzialità
dei territori in stretto raccordo con le politiche ordinarie.
Infrastrutture - Nonostante inoltre i progressi degli ultimi anni, andrebbe potenziato il
coinvolgimento dei privati nel settore delle infrastrutture, attraverso partenariati pubblico-
privati o project financing, con l’obiettivo di ridurre la perifericità territoriale
dell’area. Nelle grandi infrastrutture la pianificazione sta evidenziando un difetto di impostazione
ai danni del Mezzogiorno che andrebbe corretto, anche attraverso l'individuazione
di quattro settori chiave: porti (specializzazione degli scali, riduzione
delle autorità portuali, misure di incentivazione e di attrazione di investimenti), aeroporti
(razionalizzazione degli scali definiti regionali, potenziati con project financing),
interporti (vantaggi fiscali, agevolazioni doganali, snellimento burocratico
delle procedure) e ICT. Tra gli interventi principali auspicati, le connessioni plurimodali
di «ultimo miglio» e dei grandi corridoi transeuropei; gli assi logistici dedicati nelle
aree urbane più congestionate; la costituzione delle ZES, zone economiche speciali, in
prossimità dei principali porti del Mezzogiorno; il recupero di aree industriali dismesse.
In questo senso, si potrebbero incentivare bonifiche e riconversioni di aree industriali
dismesse retroportuali, utilizzando persone in cassa integrazione in deroga
del settore edilizio e delle costruzioni, con conseguente impatto positivo sia sul piano
occupazionale, sia sulla valorizzazione dei beni immobiliari delle aree oggetto di intervento.
Rigenerazione urbana - Infine, un’azione coordinata e vigorosa per favorire la rigenerazione
urbana può rappresentare un driver per le politiche di sviluppo, essendo quello
delle costruzioni uno dei settori a maggiore intensità di lavoro e con impatti più significativi
per l’economia italiana. Secondo la SVIMEZ servirebbe un’Agenzia specifica
per la rigenerazione urbana, quale coordinamento di un’attività di assistenza strategica,
procedurale e tecnica vicina ai problemi del territorio ma indipendente da logiche localistiche.
Energie rinnovabili - Riguardo alle energie rinnovabili, occorre rilanciare una visione
strategica di medio-lungo periodo di politica sia energetica che industriale. In
particolare, si rileva la necessità di passare gradualmente da una indiscriminata incentivazione
"atomistica" a una politica di programmazione dell'energia verde a Km zero
che privilegi il versante riscaldamento-raffreddamento rispetto all'esclusiva produzione
di energia elettrica. Soprattutto in campo geotermico, sarebbe opportuno un
adeguato supporto pubblico a sostegno degli ingenti investimenti necessari, da concentrare
in quattro direzioni: semplificazione di norme e autorizzazioni normative per lo
sfruttamento delle risorse geotermiche; realizzazione di impianti pilota con soluzioni innovative,
anche attraverso cofinanziamenti comunitari; affidamento dei servizi di monitoraggio
a soggetti terzi rispetto alle società coinvolte nella produzione; cofinanziamenti
di grandi progetti di esplorazione per ridurre il rischio minerario.

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