In una delle scorse domeniche di aprile,
il Santo Padre, dalla sua finestra, ha chiesto direttamente ai giovani in piazza se avessero mai sentito, nella loro vita, sentimenti di vicinanza con Gesù.
Il Papa sollecitava i giovani, molto presenti tra le numerose moltitudini di piazza San Pietro, ad esprimersi direttamente ad alta voce e verso di sè.
A parte la novità del rapporto diretto tra il Papa e la piazza, Papa Francesco ha proposto con l’abituale immediatezza che abbiamo imparato a conoscere dai suoi gesti, il grande problema della spiritualità nel nostro tempo.
Ossessionati continuamente dal dover essere e dalla cultura del fare, piuttosto che riflettere, non è facile oggi ammettere che abbiamo bisogno di ritrovare l’intensità del rapporto con Dio e vivere una spiritualità che ci aiuti a superare le numerose incertezze che viviamo nel difficile mondo attuale.
Del resto non è neanche facile affrontare il problema della spiritualità, quando attraversiamo una grande fase di depressione che con la sua crisi occupazionale, riduce l’autonomia delle persone libere e soprattutto lo riduce a quei giovani che vorrebbero avere più certezze per costruire il loro futuro.
Riflettere sulla spiritualità nel tempo che viviamo è diventato un raro esercizio; molto complicato, esso deve essere anche capace di affrontare e risolvere parecchie contraddizioni.
Per noi, al sud, queste contraddizioni sono ancora più forti e numerose per il difficile contesto umano e sociale in cui siamo ripiombati con la crisi degli ultimi anni.
Non intendo indulgere sulle difficoltà del mondo circostante di oggi, per evitare di affrontare i temi della spiritualità. Sono convinto però che essendo il lavoro uno dei momenti fondamentali della vita delle persone, la sua mancanza influenza troppo negativamente la costruzione di percorsi di vita che aiutino lo sforzo della ricerca di percorsi spirituali. Intendo riferirmi a quei momenti in cui sia possibile un maggiore avvicinamento non solo alla ricerca dei Dio, quanto ad una maggiore coerenza con la testimonianza che ci ha dato Gesù Cristo.
La riduzione delle occasioni di lavoro negli ultimi anni al sud, purtroppo non ha ridotto solo le possibilità, ma anche il significato stesso della vita, oltre ad offendere la dignità delle persone e la loro identità, soprattutto quando sono persone operose e volenterose.
Proprio dalla testimonianza della propria operosità attraverso il lavoro, penso che per ciascuno di noi, sia possibile cercare, accogliere e aderire ad una vocazione o ad un cammino di spiritualità che ci aiuti a disegnare ed interpretare per quanto è possibile il disegno di Dio per ciascuno di noi.
Forse potrebbe essere il lavoro stesso il luogo in cui vivere la nostra spiritualità, in una esperienza umana in cui non è necessaria la fuga dal mondo, ma costruire una spiritualità che ritrova proprio nell’esperienza lavorativa un possibile luogo di “santificazione”. Cosicchè, è possibile che la vita e una spiritualità del lavoro si intreccino, come già indicava il Concilio Vaticano II° nella “Gaudium et Spes”.
Ovviamente si tratta di poter realizzare un lavoro non solo materiale ma che abbia anche la possibilità di radicare dentro di se un impegno spirituale. La speranza dei tempi nuovi che sembrano essersi riavviati aiuterà a trovare anche queste strade nuove?
GERARDO GIORDANO
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