Che cosa
spinge tante persone a cercare una “certificazione” della propria appartenenza
e provenienza territoriale?
Naturalmente
non mi riferisco al tradizionale certificato di nascita o di residenza. Ma a
qualcosa di piú concreto anche se forse piú evanescente e piú identitario.
In un epoca
in cui è sempre più forte il tentativo di superare ogni forma di burocrazia, centosettantacinque
cittadini salernitani hanno ottenuto una credenziale di “Salernitano DOC”.
Il logo della Cittá di Salerno in una antica cartolina della collezione privata presentata da Gerardo Giordano durante l'íncontro dei Salernitani DOC |
Me lo sono
chiesto recentemente quando insieme a tante persone affollavamo il Salone dei
Marmi di Palazzo di città a Salerno, in attesa di ricevere l’ambito
riconoscimento nella manifestazione organizzata da Massimo Staglioli. E pensare
che quella di quest’anno è appena la sesta edizione.
Salerno in
questi ultimi venti anni è diventata una cittá sempre piú attraente ed attrattiva, nonostante complessi problemi di
funzioni urbane che pesano ancora molto nella riorganizzazione del vivere
civile.
Un lavoro
straordinario di tanti soggetti pubblici e privati ha consentito una enorme
valorizzazione del complesso patrimonio ambientale, monumentale e culturale,
oltre che professionale, della cittá e
le ha fatto compiere progressi inimmaginabili che hanno molto migliorato la mai
sopita volontá di divenire punto di riferimento tra le tante cittá medie
meridionali, migliorando fortemente il suo grado di accoglienza.
Tuttavia nonostante
I’enorme lavoro svolto, molti salernitani non hanno trovato sempre modo di
identificarsi con la evoluzione e le soluzioni che hanno attraversato questa
trasformazione della cittá.
La
particolare familiaritá che caratterizzava i rapporti nella comunitá cittadina,
almeno nella seconda metá del novecento,
era rappresentata da una forte omogeneitá (quasi etnica: la salernitanitá),
rafforzata da un forte sentimento di solidarismo locale: quasi come una grande
famiglia, con un forte vincolo in cui tutti erano amici e tutti si conoscevano.
Una grande
comunitá familiare con pochi conflitti, in cui le divergenze ed i rapporti
sociali erano regolati da un “complesso sistema di contrappesi”.
Tale modo di
essere sembra molto evidente nelle varie e particolari vicissitudini
attraversate dalla comunitá cittadina, dopo lo sbarco di Salerno nel 1943,
l’alluvione del 1954, il terremoto del ’62, fino a quella piú straziante che è
stato il terremoto del novembre 1980. Momenti drammatici a cui hanno fatto seguito
sempre straordinari scatti di ripresa economica e sociale con un forte vincolo
solidaristico e di appartenenza.
Poi le varie
ondate migratorie che hanno attraversato la cittá che cresceva nel tempo, insieme
a parti della provincia. Prima da altre
regioni del sud, poi da altri paesi della sponda mediterranea; la immigrazione
transnazionale ed ultima la emigrazione di tanti giovani salernitani, diplomati
e laureati: nuovi fenomeni che non hanno contribuito ad una crescita omogenea
del tessuto connettivo della cittá e di un suo rafforzamento che tenesse conto
della realtá economica, civile e sociale che aveva caratterizzato Salerno dal
dopoguerra.
L’attrazione
di nuovi gruppi etnici e la loro integrazione è andata avanti nella cittá senza
grandi traumi, quasi che il parallelo nuovo divenire urbano dovesse proseguire
come un automatico bisogno obbligatorio, necessario per l’incerto futuro, anche
se spesso estraneo alla tradizione, al senso comune ed a volte alla
comprensione stessa delle scelte da parte della comunitá piú “indigena”.
Questo non
riconoscersi negli andamenti succedutisi, pur senza scardinare le soluzioni
date ad alcuni problemi della cittá, accettandole come una necessitá imposta
dalle cose del tempo che viviamo, spinge molti salernitani a ricercare il
risveglio della propria identitá in modo differente.
Oggi forse esso
non puó essere solo il riconoscersi ed il ritrovarsi di fronte al Patrono della
cittá, San Matteo, il 21 settembre, diventato negli anni, l’unico momento
aggregativo di riconoscimento identitario della appartenenza salernitana, ma
possa costituire anche un vissuto “salernitano” che oggi sembra quasi improponibile
se non impossibile.
Forse la
richiesta della certificazione di “Salernitano DOC” indica proprio la necessitá
di riuscire a superare questa inopportuna rimozione senza ricorrere a superate angustie municipalistiche.
GERARDO
GIORDANO
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