ROMA (6 febbraio) - Il disastro dell'economia mondiale è così grande che, al vertice di Davos, perfino i no-global non sapevano che pesci prendere. Nonostante i drammi causati dal crollo dell'economia erano infatti ben pochi a protestare. Le proteste, inoltre, non si rivolgevano verso le difficili decisioni da prendere o le spaventose ingiustizie da sanare, ma si concentravano nel contestare il fatto che a parlare di rimedi fossero soprattutto coloro che erano stati la causa della crisi. Se questo avveniva nelle strade di Ginevra e Davos non minore era la confusione nei saloni dove si svolgevano i dibattiti e le discussioni.
Tre sentimenti sono tuttavia emersi sopra tutti gli altri nei giorni di Davos, cioè un sentimento di paura, uno di imbarazzo e uno di speranza.
Il sentimento di paura è quello del protezionismo. Non solo il protezionismo sul commercio dei beni, ma anche riguardo alla circolazione dei capitali e alla mobilità della mano d'opera. Ed è una paura giustificata perché gli americani minacciano misure contro le importazioni (una sorta di buy american), i francesi sembrano orientarsi verso una politica di aiuti limitata alle imprese nazionali, e gli esempi potrebbero essere moltiplicati. Quanto al mondo del lavoro, come sta avvenendo in Gran Bretagna, la politica contro gli operai stranieri sta raggiungendo ovunque elevatissimi livelli di popolarità, se perfino un Ministro del Governo italiano ha dichiarato che i lavoratori inglesi sono un modello a cui ispirarsi. Se questo processo non viene arrestato da un coordinamento delle politiche di tutti i grande paesi, non solo la crisi si aggraverà ma ne usciremo fuori solo fra moltissimi anni.
Il secondo sentimento (di imbarazzo) riguarda il nuovo ruolo che i governi stanno assumendo nella vita economica mondiale per effetto di anni di errori politici e di mancanze etiche. Dal punto di vista politico troppi pensavano (o tentavano di farci credere) che il mercato da solo è sempre capace di riequilibrare il sistema economico e di correggerne gli errori. Per coloro che avevano seguito questa dottrina giudicandola infallibile è infatti imbarazzante dover ammettere la necessità di un massiccio intervento dello stato per impedire che le banche (e di conseguenza le imprese) crollino come castelli di carta. L'allargamento dell'intervento pubblico appare quasi la soluzione di ogni problema. Siamo ormai arrivati all'assurdo che proprio coloro che in passato avevano sostenuto necessario il ruolo dello stato come arbitro autorevole e severo del quadro economico debbano ora adoperarsi perché l'intervento pubblico non diventi troppo pesante e non pregiudichi il necessario funzionamento del mercato.Essere arbitro autorevole e severo significa oggi applicare regole e comportamenti etici che sono stati ignorati o calpestati nei passati due decenni. Non esiste infatti un'economia senza regole e senza la forza di chi le faccia rispettare.
Il terzo sentimento (quello di speranza) riguarda il ruolo futuro dell'Europa. Un'Europa che era nata non solo per creare sviluppo, ma anche per costruire una politica di maggiore equilibrio fra paesi ricchi e paesi poveri e per dare un minimo di sicurezza a tutti i propri cittadini, anche e soprattutto nei momenti di difficoltà. Un'Europa che è nata per promuovere il mercato ma anche per proteggere i cittadini dalle sue mancanze e dai suoi errori. Un'Europa in cui stato e mercato giocano un ruolo distinto ma complementare e sono entrambi sottomessi a precise regole e in cui la protezione dei più deboli nei momenti di difficoltà non deriva dalla carità o da buoni sentimenti, ma da obblighi di comportamento collettivo e dal riconoscimento dei diritti delle persone. Nel primo dopoguerra per definire il modello europeo, si usava la definizione di "economia sociale di mercato". È una terminologia un po' antica ma che rende bene l'idea della direzione da tenere in questo momento critico e del ruolo di equilibrio che l'Europa potrà e dovrà svolgere nel mondo.
Vorrei concludere con una riflessione finale che non mi appare inappropriata.
Pochi giorni fa si è svolto negli Stati Uniti il famoso "Superbowl" l'avvenimento sportivo più seguito da tutti gli americani.Basti pensare che i telespettatori sono solitamente superiori di numero rispetto agli americani che si recano a votare alle elezioni presidenziali. Potete immaginare quale cifra astronomica costino gli spot pubblicitari durante questo avvenimento.Ebbene i telespettatori si sono trovati di fronte a uno spazio pubblicitario (chiamato cash for gold) che offriva "la migliore valutazione" ai milioni di cittadini che erano costretti a vendere gli anelli o le collane d'oro per potere tirare avanti. Mentre un'altra pubblicità prometteva di restituire il prezzo di acquisto di un'automobile a chi fosse successivamente rimasto disoccupato. Sono questi gli aggiustamenti che noi affidiamo al mercato? Io penso di no.
Penso perciò che valga la pena di riprendere in esame e riscoprire (rinnovandolo) il vecchio modello europeo.
sabato 7 febbraio 2009. da: http: //www. il messaggero.it
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