giovedì 18 aprile 2013

LA "SOLIDARIETA' OGGI" NELLA DISCUSSIONE DEL LIONS CLUB SALERNO HOST.


Si è svolto  lunedì 15 aprile nel salone di rappresentanza G. Bottiglieri della Provincia di Salerno, il preannunciato convegno del Lions Club Salerno Host "LA SOLIDARIETÀ OGGI". Un importante evento per riflettere su un un tema particolare che tocca molto da vicino l'associazione lionistica internazionale che ha come base della propria attività il servizio al prossimo.
Dopo i saluti del Presidente del Club avv. Pompeo Onesti
e della Presidente di Circoscrizione Antonietta Salzano De Angelis, hanno dato vita ad un vivace ed interessante confronto il Prof. Giuseppe Acocella Coordinatore V Commissione – Welfare e P.A. del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, il  Prof. Giuseppe Cantillo professore emerito della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Federico II di Napoli 
ed il filosofo Aldo Masullo.
Il dibattito è stato concluso dal Past Governatore Lions
Bruno Cavaliere.

Ho chiesto al Prof. Giuseppe Acocella - che ringrazio per aver aderito all'invito - di fornirci il testo della sua comunicazione e dare un utile supporto ai nostri affezionati lettori. Ecco il testo dell'intervento:

Nella Relazione al Parlamento e al Governo presentata dal CNEL al Senato il 13 dicembre 2012 ai sensi della legge 15/2009, si rileva con preoccupazione il rischio che le politiche sociali siano limitate dalle politiche di bilancio e che i vincoli finanziari prevalgano sulla tutela dei diritti sociali fondamentali - in particolare nel Mezzogiorno - che costituiscono l’asse portante di un Stato democratico . Parlare oggi di solidarietà a me sembra che comporti la necessità di verificare le condizioni della solidarietà su grande scala, nelle comunità e tra le comunità, non affidandosi soltanto alla invocazione di una teoria generica o di una etica generosa della solidarietà da contrapporre all’etica dell’egoismo individualistico.
La limitazione indotta dalle politiche di bilancio pesantemente contraddice gli obiettivi di equità riconosciuti ineludibili sia in sede nazionale che in sede europea attraverso le azioni di lotta alla povertà e alla esclusione sociale. Risultano compromesse proprio le situazioni di maggior disagio, come i servizi all’infanzia e l’assistenza ai non autosufficienti, cioè gli obiettivi centrali di civiltà ed eguaglianza propri dei regimi democratici . Dal Fiscal compact – accordo mondiale che ha finito per essere assunto in sede europea come criterio di valutazione per i bilanci nazionali – ai vincoli finanziari europei che limitano le sovranità parlamentari nazionali (senza che ciò abbia conseguito o comporti una maggiore unità europea oppure una affermazione della accettazione popolare della superiorità delle istituzioni europee sulle malferme istituzioni nazionali), la solidarietà sembra essere oggi resa impossibile se non nelle dimensioni del volontariato e delle iniziative benefiche.
La Corte di Karlsruhe nell’autunno 2012 è stata invece molto ferma nel reagire rivendicandola potestà del Parlamento del Reich a legiferare anche nelle materie che richiedessero una tutela dei diritti sociali – ove ne fosse minacciata l’integrità di fondo - anche rispetto ai vincoli finanziari concordati dalla Germania in sede europea, ribadendo il primato della politica nazionale (benché fortemente impegnata a chiedere vincoli per le altre nazioni europee) nel definire i livelli essenziali di quei diritti in campo sociale, previdenziale o sanitario. Non meramente strumentale pertanto, ma attinente ai diritti fondamentali deve dunque anche in Italia essere considerata la tematica dei Livelli Essenziali di Assistenza, scarsamente perseguiti da noi – nella passiva e gregaria assuefazione alle indicazioni della autoreferenziale euroburocrazia - nella manifesta carenza di decreti conseguenti alle disposizioni legislative. La questione diventa particolarmente rilevante dal momento che non è più esclusivamente statale la fonte del Welfare nella tradizionale versione del Welfare State, ma l’articolazione federale e l’integrazione pubblico/privato del Welfare Community (e la disciplina sovranazionale delle politiche sociali) rendono complessa la coerenza del sistema di sicurezza sociale e la stessa valutazione di esso.
La considerazione che occorre tener presente è che proprio la programmazione sociale, ancor più che altri settori interessati alla spesa pubblica, e dunque massima deve essere la necessità di adottare sistemi di accountability, anche per evitare il rischio concreto del “risucchio” delle potenziali risorse per l’assistenza e per gli stessi livelli essenziali da parte del sistema ospedaliero e strettamente sanitario, con buona pace per i sogni di integrazione socio-sanitaria e a spese delle prestazioni definibili di carattere socio-assistenziali, così come del principio di appropriatezza, che avrebbe bisogno proprio in questo ambito di maggior attenzione e più mirato approfondimento. Il rischio è tanto più concreto quanto più si dilata il trasferimento di competenze dall’assistenza sociale dovuto alla “sanitarizzazione” (e spesso ospedalizzazione) di interventi tradizionalmente di carattere socio-sanitario, con conseguente assorbimento di risorse in termini di spesa e di personale. Del resto la prevista diminuzione tra il 2010 ed il 2015 di ben 34 miliardi nella spesa riservata nel bilancio pubblico alla Sanità incoraggia il drenaggio di risorse dal settore socio-assistenziale al sistema ospedaliero e sanitario, con conseguente riduzione della copertura dei servizi essenziali (il Fondo sociale è stato azzerato, e poi ripristinato con la cifra palesemente insufficiente di 200 milioni di euro), e conseguente inevitabile spostamento di competenze dall’assistenza sociale a quella sanitaria, con ulteriore aggravio di compiti impropri a carico di quest’ultima (basti pensare ai lungodegenti e ai non autosufficienti) .
Non si può sostenere però che le difficoltà siano tutte da attribuirsi alla scarsità delle risorse impegnate nel Welfare italiano.
La distribuzione della spesa sociale nelle diverse voci è all’origine di altre rilevanti dispute e valutazioni. Una tale distribuzione ha suggerito una interpretazione che intende sostenere una sottrazione di risorse da parte del popolo dei pensionati a scapito delle giovani generazioni, imputando alle risorse destinate al reddito della parte anziana della popolazione un peso eccessivo che renderebbe esigue le risorse destinate al sostegno delle situazioni di disagio e quelle rivolte a promuovere misure per l’occupazione giovanile.
La critica non tiene conto della platea molto ampia di beneficiari che riduce di molto il grado di tutela della popolazione anziana dei lavoratori in quiescenza e delle loro famiglie (ben il 17% delle pensioni nel 2011 si colloca al di sotto dei 500 euro), ma soprattutto trascura il fatto che proprio il reddito dei pensionati spesso supplisce proprio alle carenze dell’occupazione giovanile nelle famiglie dei lavoratori e compensa lo scarso impegno pubblico nelle situazioni di disagio (meno del 5% della spesa per il sostegno della famiglia e poco più del 3% per la disoccupazione ed altra esclusione sociale. Senza contare che la compensazione garantita ora all’interno delle famiglie dai redditi da pensione, una volta che questi fossero diminuiti, non sarebbe assicurata affatto in futuro da una destinazione equa delle quote risparmiate a vantaggio proprio di coloro alle cui famiglie verrebbe sottratto, i quali intanto beneficiano almeno di questo sostegno “familiare”. Certo il problema è di cambiare il sistema di welfare integrando sicurezza sociale e workfare, puntando anche sugli impieghi sociali della spesa pubblica con incremento della occupazione nei settori di cura.
Consci peraltro che lo Stato non potrà mai più assolvere per intero le funzioni tradizionalmente espletate - anche per la dilatazione della spesa pubblica, come si è visto, anche in materia sanitaria in misura spesso insostenibile, occorre chiedersi quali sono i punti irrinunciabili dell’organizzazione di un diverso Welfare, specie nella direzione della realizzazione di una rete integrata di servizi con il coinvolgimento attivo delle reti efficienti poste in essere dalla società civile organizzata.
Il Welfare Community si presenta dunque come un sistema, che parte dalla valorizzazione della coesione sociale e della ricerca dell’inclusione per tutti i soggetti della comunità, modificando lo stesso modello di politica sociale tradizionalmente instauratosi tra istituzioni e società dei cittadini. Una scelta del genere comporta ovviamente uno sviluppo di orientamenti correttivi dei principi di deregulation e di privatizzazione esasperati troppo spesso invocati e generatori di una conflittualità sociale incontrollabile ed indifferente ad ogni considerazione di bene comune in una società democratica. In questa prospettiva anche le dimensioni volontarie e solidali – come una diversa organizzazione federale - diventano componente essenziale del Welfare Community.
Va forse aggiunto che inaspettatamente persino la stessa, aumentata consapevolezza della dimensione globale della cittadinanza e del mercato può giovare alla promozione di una inclusione sociale delle popolazioni temporaneamente o stabilmente insediate in nazioni diverse da quella d’origine. Ma vorrei sottolineare un punto essenziale delle trasformazioni che ci sono di fronte, e cioè l’aumento inatteso delle “nuove povertà” nell’intera Europa dei 27, riguardanti in grande percentuale gli anziani, le donne sole, i giovani a disagio o i portatori di handicap, gli immigrati e persino i lavoratori poveri, in specie quelli che subiscono una scarsa registrazione di periodi lavorativi diversi ed in differenti contesti (con prospettiva di povertà nell’età più avanzata). Tutto ciò conduce – proprio mentre si approntano misure continentali per contrastarla - ad una dilatazione dell’area della esclusione sociale: essa consisterà sempre più nell’essere privati dei legami sociali e delle opportunità di partecipazione alla vita comune, giacché povertà economica e materiale si saldano alla carenza di relazioni e di solidarietà reciproche.

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